L'Elettrosensibilità secondo l'OMS

A cura di A.M.I.C.A.

Nel 2002 la Presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Gro Bruntland, ex – Primo Ministro della Norvegia e medico, avrebbe dichiarato ad un giornalista norvegese di sentirsi male se si trovava a meno di 4 metri da un cellulare acceso. Tale notizia sarebbe apparsa su Dagbledet il 9 marzo 2002, ma non avrebbe avuto l’eco che meritava sui media mondiali. La settimana successiva il suo dipendente, responsabile del Progetto Internazionale sui Campi Elettromagnetici, dott. Michael Repacholi, avrebbe risposto con una dichiarazione ufficiale alle preoccupazioni del suo capo, sottolineando “la mancanza di evidenza scientifica” riguardo all’elettrosensibilità.
Cinque mesi dopo la dott.ssa Brundtland ha annunciato le sue dimissioni da Presidente dell’OMS e molti sospettano che l’abbandono dopo appena un mandato sarebbe dovuto a tali circostanze (1).
Nel 2004 l’OMS ha organizzato a Praga un Workshop sull’Ipersensibilità Elettromagnetica (2) dal quale è emerso un documento che descrive l’elettrosensibilità come una condizione caratterizzata da vari sintomi aspecifici che le persone attribuiscono ai campi elettromagnetici anche se mancano evidenze scientifiche sul nesso causale tra sintomi ed esposizioni elettromagnetiche (in realtà diversi dati in possesso dei medici indurrebbero a pensare diversamente).
Contrariamente al principio di precauzione e di buon senso, l’OMS suggerisce ai medici di trattare chi si presenta da loro come “elettrosensibile” con cure per i loro sintomi specifici senza concentrarsi sul bisogno del paziente di ridurre o di eliminare i campi elettromagnetici a casa o al lavoro.
Il rapporto del Workshop di Praga prescrive anche di fare una valutazione psichiatrica/psicologica che potrebbe essere responsabile dei sintomi e di ricercare eventuali altri fattori ambientali che potrebbero essere cause di sintomi, come inquinamento interno, eccessivo rumore, scarsa illuminazione o fattori ergonomici.
Secondo l’OMS, inoltre, i trattamenti terapeutici dovrebbero ricreare una collaborazione medico – paziente per il ritorno di quest’ultimo ad una normale vita sociale.
E se l’unico modo per far sparire i sintomi fosse realmente evitare i campi elettromagnetici?

Chi può stabilire, poi, quale sia una vita sociale “normale”? Lo stabilisce l’industria dell’elettronica e delle telecomunicazioni che promuove una socializzazione “digitalizzata” oppure gli Stati che non vogliono rinunciare agli introiti derivanti dalle vendite delle bande di radiofrequenza?

L’Uomo ha impiegato milioni di anni per adattarsi all’ambiente Naturale e ora quante vittime dovranno esserci prima che la specie si adatti all’ambiente inquinato dai campi elettromagnetici o prima che la politica si renda conto delle evidenze scientifiche “non condizionate”?
È particolarmente preoccupante, poi, il ricorso che le organizzazioni mediche fanno alla psichiatria per trovare risposte che non conoscono senza considerare che la scienza è un percorso in continuo divenire e che quello che oggi non sappiamo spiegarci domani sarà più evidente. La psichiatria non può diventare il ricettacolo di tutte le malattie poco spiegate.
1. www.cloakanddagger.de/media/BACKUP%20PAGES/largest_biological_experiment.htm 
2. http://www.who.int/peh-emf/meetings/hypersensitivity_prague2004/en/index.html

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